Ancora più impegno, ancora più decisione per raggiungere gli obiettivi europei che prevedono la riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 40% entro il 2030.

Lo scorso 19 giugno è stata pubblicata la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le ultime sue due direttive del 2012 e del 2010 sulle prestazioni energetiche in edilizia e sull’efficienza energetica.

Abbiamo parlato di questa ulteriore accelerazione verso un modello di approvvigionamento energetico responsabile nei confronti dell’ambiente con l’architetto Enrico Carminato, collaboratore del Consorzio Cerv ed esperto di architettura green-friendly.

Architetto Carminato, in breve, di cosa tratta questa Direttiva europea sull’efficienza energetica?

Non è una novità. L’Europa a riguardo si è espressa per la prima volta con la direttiva 2002/91/U “Rendimento energetico nell’edilizia” detta anche EPBD, ovvero Energy Performance Buildings Directive, frutto all’epoca degli esiti ed accordi raggiunti a livello globale col famoso protocollo di Kyoto del 1997. Poi la stessa Europa ha fatto un importante aggiornamento con la Direttiva 2010/31 ed ora la 844/2018/UE, specifica per l’energetica in edilizia. La direttiva Europea è una sorta di “legge quadro” a cui tutti gli stati membri devono adeguarsi entro determinati limiti temporali.

Perché il governo continentale ha scelto di muoversi su questi argomenti, e come mai questo ulteriore aggiornamento?

La risposta dal mio punto di vista è secca e concisa: “non abbiamo alternative”.

Giusto lo scorso 8 ottobre, a Incheon, Corea del Sud. L’IPCC (Intergovermental Panel for Climate Change) ha presentato il suo nuovo report e, indovinate un po’? Siamo nei guai. Possiamo ancora uscirne, ma dobbiamo una volta per tutte smettere di far finta che non esista alcun problema.

Il report 2018 dell’IPCC è stato richiesto nell’ambito dell’Accordo di Parigi del 2015, in cui 195 stati (con notevoli eccezioni) si impegnavano a mantenere il riscaldamento globale sotto i due gradi, puntando a un grado e mezzo di aumento. L’IPCC ha confrontato il caso di un aumento della temperatura di un grado e mezzo rispetto a quello in cui aumenti due gradi. Risulta che la differenza tra i due scenari è maggiore di quanto pensassimo. Un esempio tra tutti: con due gradi in più perderemo del tutto le barriere coralline, a un grado e mezzo ne sopravvivrebbe il 10-30%. Un altro esempio: la differenza nell’innalzamento dei mari sarebbe di 10 centimetri. Se sembra poco, occorre chiedere che ne pensano i milioni e milioni di persone la cui intera vita si svolge sotto il livello del mare.

Stando ai dati IPCC è chiaro quindi che il nostro obiettivo deve essere un grado e mezzo, e non i due gradi. Il problema è che manca davvero poco: raggiungeremo già il grado e mezzo attorno al 2040 se non facciamo nulla per impedirlo.

E sì, spetta a noi fare qualcosa per risolvere questo problema perché siamo stati noi a creare il problema. L’attività antropica con le conseguenti emissioni di gas serra ha alzato la temperatura media del pianeta di circa 1 °C rispetto all’epoca pre-industriale. Appena trent’anni fa eravamo a una crescita di mezzo grado. Non abbiamo più tempo!

Stare sotto il tetto del grado e mezzo è possibile, secondo l’IPCC. Ma tra l’altro non è finita: dopo lo zero dobbiamo scendere ancora. Come? Meno di zero emissioni? Sì. Dopo aver smesso di emettere dovremo anche assorbire dall’atmosfera parte della CO2 che vi abbiamo disperso. Questo perché il picco di aumento di temperatura dipende fortemente dalle emissioni cumulative di CO2, non solamente da quelle che facciamo in un dato anno. Le emissioni negative sono necessarie anche per invertire la rotta dell’acidificazione degli oceani.

Va sottolineato il fatto che saremo costretti a misure di questo tipo perché siamo già in ritardo. Ed è ora che la politica cominci ad affrontare il problema di petto e una volta per tutte. L’Europa a mio avviso, lo sta facendo. Luminare rispetto alle altre potenze mondiali.

Quali sono le principali novità della direttiva aggiornata?

La nuova direttiva nasce dall’esigenza di favorire il raggiungimento di nuovi obiettivi di efficientamento e prestazione energetica, così come concordato nel protocollo di Parigi del 2015 poc’anzi citato ovvero:

  • ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 40% entro il 2030
  • favorire lo sviluppo di un sistema energetico sostenibile, competitivo, sicuro e decarbonizzato entro il 2050.

Per raggiungere gli obiettivi vengono quindi introdotte alcune novità, tra le più importanti:

  • obbligo di migliorare la prestazione energetica di edifici nuovi e esistenti;
  • viene richiesto di prevedere strategie nazionali di ristrutturazione degli immobili e indicatori d’intelligenza;
  • viene previsto il sostegno allo sviluppo di infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici.

Che cosa si intende per decarbonizzazione? Che impatto avranno queste nuove soglie nella vita di cittadini e imprese?

Nella nuova direttiva sono previste azioni strategiche che seguiranno una tabella di marcia stabilita da ogni stato membro, con step intermedi per il 2030 e il 2040 e porteranno, attraverso un programma di ristrutturazione, il parco immobiliare ad essere fortemente decarbonizzato entro il 2050. Per raggiungere questo obiettivo, gli stati dovranno sostenere e favorire trasformazioni efficaci (inteso come rapporto costi/benefici) degli edifici in edifici a energia quasi zero (NZEB). Parlo di nuovo, ma anche e soprattutto di esistente!

La Commissione stima inoltre che per essere efficaci gli interventi posti in essere dagli stati membri, dovrebbero prevedere un tasso medio di ristrutturazione pari al 3% annuo. Considerando inoltre che ogni punto percentuale di miglioramento del risparmio energetico permette di ridurre le importazioni di gas del 2,6%, questo tipo di intervento permetterebbe di velocizzare l’indipendenza energetica dell’Unione.

Nei prossimi anni ristrutturare un immobile non sarà più meramente un’azione di tipo edile, ma soprattutto di tipo energetico. Nasceranno nuove opportunità professionali e il concetto completo di edilizia dovrà variare, così come cambierà il concetto di mobilità.

Quanto è importante che gli incentivi siano diretti solamente a quelle situazioni ove vi è un effettivo miglioramento dell’efficienza energetica tra dopo e prima dei lavori? Vi sono altri livelli di prestazione energetica per gli edifici?

La normativa attuale dei bonus fiscali è una buona azione, non molto ben monitorata purtroppo, per problemi di “risorse” ovviamente. Ma il passo per trasformare il parco immobiliare in NZEB dovrebbe essere più deciso e ferrato. Non è semplice, ma siamo chiusi in una chiara forbice. Da un lato l’Europa ci “obbliga” a seguire questa strada, dall’altro lo Stato deve fare i conti con se stesso e capire fino a che punto può dare le agevolazioni per spingere questo cambio. È un concetto forse non immediato da capire, ma la rivoluzione edilizia (chiamiamola: “verde”) può essere un volano immenso anche per l’economia del paese stesso e tutto volto verso il meglio. Un ciclo virtuoso, ma deve essere iniziato con più determinazione e presto!

Anche le “smarthome” entrano nella direttiva. Che cosa si intende per “case intelligenti”?

Il concetto base è che vivere una casa ad altissima efficienza energetica non è scontato come si crede. Deve cambiare l’edilizia e il parco immobiliare, l’abbiamo detto, ma deve cambiare anche il modo di vivere. Una casa a bassissimo consumo ha margini di tolleranza “ridotti”. Faccio un esempio pratico per far capire: se ho una casa passiva, la stessa riesce a mantenersi “energeticamente” soprattutto grazie all’energia solare. Un buon serramento orientato a Sud diventa in inverno un pannello radiante per gli ambienti interni, ma in estate diventa un accumulatore di calore se non idoneamente scordato. Per assurdo un avvolgibile dimenticato “aperto” in estate può compromettere l’equilibrio termico dell’abitazione. Per questo sempre di più si ricorrerà a sistemi di controllo domotico nelle abitazioni, cioè le “automazioni” ci aiuteranno nella gestione della stessa dove potremmo mancare noi.

La nuova direttiva UE introduce ad esempio un “indicatore di predisposizione degli edifici all’intelligenza”. L’obiettivo dell’indicatore è quello di “sensibilizzare i proprietari e gli occupanti sul valore dell’automazione degli edifici e del monitoraggio elettronico dei sistemi tecnici per l’edilizia e dovrebbe rassicurare gli occupanti circa i risparmi reali di tali nuove funzionalità migliorate”.

Riscaldamento a pavimento… conviene ancora?

Risposta secca dal mio punto di vista termotecnico: NO. No perché il riscaldamento a pavimento prevede il riscaldamento di una massa (il massetto e il pavimento) prima di scaldare l’ambiente. In case altamente coibentate e forte tenuta all’aria non occorre più avere (ai fini del comfort) un’inerzia elevata del sistema. Preferibili sistemi sempre radianti ma a parete o soffitto, quindi posizionati sullo strato di intonaco. Sono sistemi più costosi, ma anche più efficienti, quindi occorrono meno superfici per garantire la continuità termica nell’edificio. Il concetto di casa sta cambiando, è importante far capire questo alle persone! Anche da questi piccoli esempi.

Le case “del futuro” come punto di appoggio e di raccordo per le città “del futuro”. Nella normativa c’è la previsione di colonnine per le auto elettriche da realizzare con la costruzione di nuove case… Fino a che punto si spinge la normativa?

La normativa sfora dal campo edile e si approccia proprio parallelamente alla rivoluzione del mondo della mobilità che come vediamo è in atto. Difatti nella direttiva si prevede l’obbligo di almeno un punto di ricarica ogni dieci posti auto nei casi delle ristrutturazioni importanti e nuove costruzioni. È decisamente un bel segnale concreto in avanti specialmente in uno stato come il nostro ove le infrastrutture per la mobilità elettrica stanno fortemente tardando a prendere piede.

Quali tempistiche prevede la direttiva?

Ci aspettiamo pertanto entro i prossimi due anni un recepimento a cascata nazionale e regionale su regole e procedure da seguire dettate dalla 2018/844/UE. L’Italia finora ha sempre rispettato le normative imposte a livello europeo, anche se al “limite” delle tempistiche imposte o addirittura in ritardo dopo i richiami da parte della UE.

Auguriamoci che questa volta siano più celeri a dare questa “virata” verso la nuova edilizia sostenibile e ad alta efficienza energetica.