Stop al consumo di suolo. L’edilizia del futuro non riguarderà più il costruire case, ma ricostruire case. Sostituire edifici, quartieri e città vecchi, insicuri ed energivori con edifici, quartieri e città a misura di persona, sicuri e amici dell’ambiente.

Di rigenerazione urbana si è appena cominciato a parlare, ma tutto ormai sembra andare in questa direzione. Abbiamo chiesto qualche delucidazione sul tema a Claudio Pianegonda, presidente di Federabitazione Veneto e presidente del Consorzio di Cooperative Edilizie Cerv.

Che cosa si intende per rigenerazione urbana?

Rigenerare vuol dire ridare vita, e dunque, rigenerazione urbana significa ridare vita alle città, non solo da un punto di vista fisico ma anche sociale. Rigenerare un quartiere comporta il rinnovamento delle infrastrutture, della viabilità, degli edifici, dei servizi e un percorso per creare coesione sociale.

Quando si è iniziato a parlare di rigenerazione urbana?      

Da qualche anno, a seguito della perdita di abitanti delle città, per i prezzi alti delle case e degli affitti, per l’inadeguatezza delle case dei centri storici e dei quartieri alle nuove esigenze abitative e con il conseguente sottoutilizzo di tale patrimonio, in molti hanno iniziato a sollevare il problema. C’è poi la consapevolezza che le risorse che abbiamo, dal territorio all’energia, non sono infinite, per questo anche le case e il costruito devono fare la loro parte per lo sviluppo sostenibile. Poi, Papa Francesco con la sua enciclica sul Creato, ci ha ricordato quanto sia urgente affrontare il tema prima che sia troppo tardi.

Chi sta lavorando a favore della rigenerazione urbana?

Per ora la tematica è ancora alla fase della discussione. Esiste un disegno di legge sul contenimento del consumo di suolo e sul riuso del suolo edificato recentemente approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato, in più molte Regioni, tra le quali il Veneto, dispongono di progetti di legge per limitare l’ulteriore consumo di suolo. Tra i soggetti più attivi a livello nazionale su questo tema troviamo alcune associazioni ambientaliste e gli ordini professionali, come gli architetti, gli ingegneri e i geologi, ma anche gli psicologi, che hanno costruito dei sodalizi, nati anche in Veneto, volti a promuovere una riscossa delle città.

Ci sono degli esempi da citare? Quali esperienze sono già state provate?

Per il momento ci sono pochissimi esempi concreti. In passato i tentativi dei “contratti di quartiere” del piano per le città del governo Monti si sono dimostrati insufficienti. Anche con un enorme impegno di energie e risorse pubbliche, i risultati sono stati modesti, perché non sono riusciti a coinvolgere i privati proprietari degli immobili. Anche il bando per le periferie, da poco indetto dal Governo Renzi, e anche i fondi POR FESR del Veneto sulla rigenerazione urbana non creando un adeguato volano privato rischiano di fare la stessa fine.

Le Vele di Scampia: l’esempio di un quartiere che andrebbe rigenerato, non solo dal punto di vista edilizio

 

Qual è la sfida più importante davanti a noi?

La sfida che ci attende non è il rifacimento di una fabbrica o la realizzazione di un centro commerciale o direzionale al posto della fabbrica, non è neanche la ristrutturazione di un singolo appartamento o di una singola casetta anche ai sensi delle leggi che sono uscite riguardante i cosiddetti piani casa. La vera sfida riguarda la ristrutturazione edilizia di interi edifici residenziali e soprattutto la rigenerazione dei quartieri e delle periferie costruite a partire dall’immediato secondo dopoguerra fino agli anni settanta del secolo scorso nonché le edificazioni tra le due guerre o antecedenti alla prima guerra mondiale. Questo accompagnato dalla necessità di far riabitare tali ambiti.

I condomini di via Anelli a Padova svuotatisi ormai da dieci anni sono ancora lì in piedi e con tutto il loro degrado


E allora, come bisognerebbe muoversi per rigenerare le città?

Il legislatore ha un ruolo fondamentale: dovrebbe dare ai Comuni strumenti adeguati non solo per la pianificazione urbanistica, ma anche strumenti giuridici atti a superare certe inerzie spesso originate da disaccordi o dalla frammentazione della proprietà. Su questo possono fare poco anche le disposizioni previste dalla legge di stabilità 2016 sull’attribuzione a chi esegue i lavori del beneficio fiscale che spetterebbe al condominio non in grado di sostenere i costi di ristrutturazione soprattutto se l’immobile necessita di lavori importanti quali l’adeguamento sismico o il miglioramento dell’efficienza energetica. Se mancano queste altre disposizioni legislative ci vorrà più tempo prima che le regole del mercato rendono interessanti tali operazioni.

A chi si impegna in questo settore lo Stato dovrebbe dare le stesse agevolazioni fiscali previste per le famiglie che acquistano e ristrutturano la casa. Perché c’è bisogno di soggetti in grado di convincere e di mettere insieme le famiglie proprietarie degli immobili che devono essere rigenerati e di imprese strutturate per tali operazioni.

Quali sono gli “step” concreti per rigenerare un quartiere?

Prima di tutto bisogna operare sulla pianificazione, prevedendo il prossimo mezzo secolo, a partire dalle infrastrutture, con la viabilità in primis, mettendo in collegamento i servizi ma sempre con in mente l’evoluzione futura e l’obiettivo della qualità insediativa. È necessario quartiere per quartiere individuare gli ambiti dove è meno complicato e più urgente intervenire e poi dei luoghi dove ricostruire gli edifici abbattuti. Lo strumento dei crediti edilizi, con il trasferimento di volumetrie dei privati in altre zone più adatte, può essere molto utile.

La proposta di Renzo Piano per riqualificare Mestre e Marghera

 

Qual è il più grosso ostacolo?

Rispetto ad altri Paesi in Italia buona parte delle famiglie sono proprietari della casa nella quale abitano. Il fatto che in un condominio vi siano molti proprietari, e dunque mettere d’accordo tutti può diventare un’impresa impossibile. Sono i privati stessi, proprietari di piccoli immobili, che devono capire che un appartamento degradato in uno stabile degradato vedrà crollare di anno in anno il suo valore. È tutto interesse di chi possiede immobili puntare alla rigenerazione.

Insomma, è proprio questa l’edilizia del futuro?

Sì, dobbiamo migliorare i centri urbani piccoli e grandi, le grandi perifierie, insomma le città, e renderle più belle e anche sicure, specie dal punto di vista idrogeologico, preservando sempre la logica dell’invarianza idraulica, e contro i terremoti, perché i morti de L’Aquila e dell’Emilia non si ripetano più. Nell’arco dei prossimi tre decenni bisognerà che tutte le case siano passive, cioè che consumino meno energia di quelle che producono: questo lo si potrà fare sia con i pannelli solari e fotovoltaici, e con le pompe di calore, con l’energia eolica o geotermica a seconda dei luoghi e soprattutto migliorando la coibentazione delle murature e delle coperture con impianti di riscaldamento e di raffrescamento più efficienti.